Nel Regno Unito e nei maggiori paesi del Nord Europa la percentuale di defunti cremati si aggira intorno al 70%: in Italia siamo invece al 21% sul totale. Questo dato dimostra differenti vedute di pensiero all’interno del Vecchio Continente: in ogni caso nella nostra penisola il mercato della cremazione è in continua espansione. A rendere noti questi dati è uno studio del Codacons, che posizione il nostro paese fanalino di coda europeo nella speciale classifica relativa al numero di feretri cremati. Entriamo nel dettaglio con i numeri diffusi dall’associazione di difesa dei consumatori e dell’ambiente: nel 2015 si sono registrate 137.165 cremazioni, contro i 117.956 del 2014. Si tratta di una crescita annua del 16%. Tuttavia c’è molta disparità tra le diverse regioni italiane: il trend è in crescita al nord (specialmente a Milano), ma ancora non prende piede al sud, sia per una scarsa diffusione dei poli crematori sia per motivi legati alla tradizione del funerale classico. C’è spazio anche per il portafogli nella ricerca Codacons: il settore della cremazione genere in Italia un giro d’affari di 70 milioni di euro (2015), con tariffe molto diverse lungo tutto lo stivale. Perché questa disparità di costi? La Legge numero 26 del 28 febbraio 2001 stabilisce che la cremazione è un servizio pubblico locale a tutti gli effetti, sottoposto ad un regime di prezzi controllati. Sulla base di questa norma sono dunque individuate le tariffe massime applicabili al pubblico ma ciascun comune può differenziarle, introducendo per esempio incentivi o sconti.